Servizio di analisi a supporto dell’individuazione dei distretti del cibo

Contesto

Il tema delle politiche locali del cibo è oggetto di una crescente attenzione in ambito scientifico e politico-amministrativo. Questa prospettiva richiede di rendere visibile e rappresentare il sistema del cibo, spesso trascurato negli studi e nelle politiche territoriali, e di connettere una pluralità di pratiche sociali che si coagulano attorno alla necessità di migliorare la qualità e l’accessibilità al cibo, nonché concorrere ad uno sviluppo territoriale sostenibile. Questa nuova impostazione si aggiunge a quella che aveva portato alla individuazione dei distretti agricoli di qualità.

Il piano normativo

Nella Legge di Bilancio 2018 all’art. 1 comma 499 è prevista la sostituzione dell’articolo 13 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228 con il seguente: “Art. 13 Distretti del cibo”:

  1. Al fine di promuovere lo sviluppo territoriale, la coesione e l’inclusione sociale, favorire l’integrazione di attività caratterizzate da prossimità territoriale, garantire la sicurezza alimentare, diminuire l’impatto ambientale delle produzioni, ridurre lo spreco alimentare e salvaguardare il territorio e il paesaggio rurale attraverso le attività agricole e agroalimentari sono istituti i distretti del cibo;
  2. Si definiscono distretti del cibo:
    a) i distretti rurali quali sistemi locali di cui all’articolo 36, comma 1, della legge 5 ottobre 1991, n. 317, caratterizzati da un’identità storica e territoriale omogenea derivante dall’integrazione fra attività agricole e altre attività locali, nonché dalla produzione di beni o servizi di particolare specificità, coerenti con le tradizioni e le vocazioni naturali e territoriali, già riconosciuti alla data di entrata in vigore della presente disposizione;
    b) i distretti agroalimentari di qualità quali sistemi produttivi locali, anche a carattere interregionale, caratterizzati da significativa presenza economica e da interrelazione e interdipendenza produttiva delle imprese agricole e agroalimentari, nonché da una o più produzioni certificate e tutelate ai sensi della vigente normativa europea o nazionale, oppure da produzioni tradizionali o tipiche, già riconosciuti alla data di entrata in vigore della presente disposizione;
    c) i sistemi produttivi locali caratterizzati da una elevata concentrazione di piccole e medie imprese agricole e agroalimentari, di cui all’articolo 36, comma 1, della legge 5 ottobre 1991, n. 317;
    d) i sistemi produttivi locali anche a carattere interregionale, caratterizzati da interrelazione e interdipendenza produttiva delle imprese agricole e agroalimentari, nonché da una o più produzioni certificate e tutelate ai sensi della vigente normativa europea, nazionale e regionale;
    e) i sistemi produttivi locali localizzati in aree urbane o periurbane caratterizzati dalla significativa presenza di attività agricole volte alla riqualificazione ambientale e sociale delle aree;
    f) i sistemi produttivi locali caratterizzati dall’interrelazione e dall’integrazione fra attività agricole, in particolare quella di vendita diretta dei prodotti agricoli, e le attività di prossimità di commercializzazione e ristorazione esercitate sul medesimo territorio, delle reti di economia solidale e dei gruppi di acquisto solidale;
    g) i sistemi produttivi locali caratterizzati dalla presenza di attività di coltivazione, allevamento, trasformazione, preparazione alimentare e agroindustriale svolte con il metodo biologico o nel rispetto dei criteri della sostenibilità ambientale, conformemente alla normativa europea, nazionale e regionale vigente;
    h) i biodistretti e i distretti biologici, intesi come territori per i quali agricoltori biologici, trasformatori, associazioni di consumatori o enti locali abbiano stipulato e sottoscritto protocolli per la diffusione del metodo biologico di coltivazione, per la sua divulgazione nonché per il sostegno e la valorizzazione della gestione sostenibile anche di attività diverse dall’agricoltura. Nelle regioni che abbiano adottato una normativa specifica in materia di biodistretti o distretti biologici si applicano le definizioni stabilite dalla medesima normativa. Omissis….
    La parte della norma di cui in questa sede è necessario capirne le maggiori implicazioni è il comma 2, in sintesi comprendere quali territori sono eligibili come distretti del cibo.

I distretti del cibo in Emilia Romagna

La normativa sui distretti del cibo è tale per cui in Emilia Romagna le condizioni per la loro definizione spesso si sovrappongono in modo strettamente interrelato, per cui scopo prioritario dell’indagine è stato quello di ottenere un sistema di dati organizzati sul sistema cibo nel territorio regionale.
Per ciascun distretto si è valutato sia il loro contributo al sistema cibo regionale, sia il loro grado di specializzazione in rapporto alle medie regionali, in base al coefficiente di localizzazione. Come vedremo il grado di concentrazione delle produzioni e il loro livello di specializzazione, in alcuni casi sono coincidenti, in altri ciò non si rileva. Qualora non indicato concentrazione e specializzazione coincidono. Lo scopo è quello di fornire un quadro sufficientemente esaustivo dei singoli distretti, in modo da poter elaborare in una fase successiva risposte e proposte in grado di assicurare una maggiore qualità (sicurezza, salute, varietà) ma anche più sostenibilità e resilienza, individuando attori, risorse, flussi, spazi, infrastrutture, relazioni.
Poichè la regione Emilia Romagna ha preferito non procedere all’individuazione dei distretti rurali e agroalimentari, privilegiando di concentrare gli interventi nei territori compresi nei disciplinari dei singoli prodotti alimentari e sulle politiche di filiera e degli accordi interprofessionali, alcuni dei territori ammessi dai disciplinari Dop e Igp ricadono interamente in alcuni distretti, in altri sono suddivisi tra più distretti.

Sono stati individuati 11 Distretti del cibo.